mercoledì 21 novembre 2018
La gestione dell’Ospedale pediatrico di Bor, a Bissau, in Guinea Bissau, è affidata a personale medico guineano che, dopo aver studiato in Europa, è tornato in Guinea Bissau per mettere a disposizione dei suoi connazionali le conoscenze e le competenze acquisite.
La formazione è leva strategica che porta al cambiamento, infatti, presso l’Ospedale di Bor, si è deciso di adottare il metodo di formazione on the job, ovvero durante il normale svolgimento dell’attività lavorativa. Il tutto è accompagnato da allegria e leggerezza, perché il sorriso aiuta sempre, anche nelle situazioni lavorative più complesse.
Le infermiere Gabriella Bonometti, Maria Miglio e Marzia Taddei si sono impegnate nella formazione del personale infermieristico, i medici, il dott. Valentino Prandini e il dott. Augusto Barbosa hanno affiancato medici guineani e il perito tecnico Adriano Bono si è concentrato sulla formazione di tecnici per la manutenzione delle apparecchiature mediche; in questa ultima missione di novembre 2018, era presente, per la prima volta, la fotografa Marta Sampietro, dedicata alla documentazione delle attività locali quotidiane per realizzare in seguito un libro che sarà venduto in beneficenza per Poliambulanza Charitatis Opera ONLUS.
A conclusione degli ultimi aggiornamenti dalla Guinea Bissau, vogliamo riportare le parole di Maria Miglio, che è stata a Bissau a novembre 2018, assieme al gruppo di volontari di Fondazione Poliambulanza; parole che testimoniano una coinvolgente esperienza di vita:
“Lunedì 5 novembre un neonato di cinque giorni è giunto in urgenza presso il blocco operatorio custodito tra le braccia di Paula, unica anestesista della Guinea Bissau, a causa di una malformazione ano-rettale che ha determinato conseguenze non irrisorie. Era nudo, indifeso e minuscolo. Era l’unico figlio che sua mamma era riuscita a concepire. L’incontro con il neonato è stato come vivere una scena al rallentatore. Nonostante l’intervento chirurgico sia andato a buon fine sapevamo che, date le condizioni cliniche e le circostanze, la possibilità di sopravvivenza del piccolo era praticamente nulla. Pochi minuti dopo iniziammo l’intervento chirurgico del bambino successivo mentre il piccolo, già operato, veniva monitorato e assistito all'esterno della sala operatoria. A condurre l’intervento del bambino successivo eravamo io, Marzia Taddei, il dott. Prandini e il dott. Barbosa. [...] Uscii dalla sala operatoria e vidi Gabriella Bonometti che stava svolgendo il massaggio cardiaco al piccolo. Era così fragile che il suo respiro poteva diventare un vento di tramontana, un suo sguardo più profondo di una radiografia; sfiorarlo era come tenere tra le mani un cristallo di inestimabile leggerezza e valore. Era così piccolo, che bastavano due dita per effettuare le compressioni toraciche. [..] Come ripeteva il dott. Prandini “noi abbiamo l’orologio, ma l’Africa ha il tempo”. Era proprio così, dopo che era stato garantito tutto il possibile, bisognava fermarsi, e lasciare che tutto andasse piano. Per quel tempo infinito, abbiamo accompagnato il piccolo nei suoi ultimi respiri. Lo abbiamo custodito in un lenzuolo caldo e accogliente. La sua mano si racchiudeva perfettamente nella nostra. È nel piccolo e semplice gesto di cura che la persona assistita vive la sorpresa di sentirsi accolta, curata. Il gesto è luogo di senso che riconosce piena dignità non solo a chi lo riceve , ma anche a colui che lo porge; in esso è nascosto il vertiginoso senso della trascendenza.
Lunedì 5 novembre, in realtà, la vera formazione la ricevemmo noi da questa esperienza: il tempo-di-cura è tempo-che-cura”.
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