Psicologia della gravidanza e del parto

PSICOLOGIA DELLA GRAVIDANZA E DEL PARTO

La nascita di un figlio è uno degli eventi più belli ed emozionanti nella vita di una persona, coppia, famiglia. 
Mesi di attese, desideri, sogni, speranze, connotati da sentimenti di gioia e felicità, ma scanditi anche da emozioni contrastanti: ansie, preoccupazioni, paure, dubbi (Andrà tutto bene? Sarò capace?).
La nascita di un figlio è un vortice emotivo intenso: montagne russe che fanno virare da un’emozione all’altra in un lasso di tempo ridotto. 
Fin dalla gravidanza la donna è immersa in una moltitudine di cambiamenti repentini e improvvisi (a livello ormonale, ma anche di riorganizzazione dell’assetto familiare e di sviluppo di un senso di responsabilità) che possono mettere a dura prova le sue risorse personali, oltre che quelle della coppia. 


LA GRAVIDANZA


GRAVIDANZA NEL CORPO…E NELLA MENTE

La gravidanza comporta numerosi cambiamenti nel corpo di una donna, che subisce trasformazioni rispetto alle sue normali funzionalità per adattarsi gradualmente alla vita che cresce dentro di sé. Queste trasformazioni possono essere vissute con emozioni contrastanti. Ciò che è importante ricordare è che ogni cambiamento è soggettivo e temporaneo.

L’ identità materna
Ciò che avviene nel corpo ha una controparte psichica, anzi ancor prima di nascere nell’utero materno, il neonato nasce nella mente. Mentre il corpo cambia per accogliere e contenere il piccolo arrivato, anche la mente e l’immaginazione lavoreranno al massimo delle proprie potenzialità nel tentativo di dare forma al tipo di vita che si condurrà e che al momento non si è in grado di comprendere pienamente. Ecco quindi che ha inizio il processo di creazione della vostra nuova identità materna. 
Con il procedere della gravidanza inizieranno a prendere vita fantasie via via sempre più specifiche sul bambino (sul suo aspetto fisico e sulle caratteristiche di personalità) accompagnate da vissuti di gioia e speranza, ma anche da paure e timori.
Nel primo trimestre di gravidanza il feto viene percepito come una sorta di estensione del proprio corpo, una parte inscindibile di sé. E’ il momento iniziale, in cui i genitori cominciano a confrontarsi con questa nuova prospettiva e ad adattarsi alla situazione. 


Costruire un legame 
È a partire dal secondo trimestre di gravidanza che la mamma comincia a percepire i movimenti del feto e a sentire l’esistenza di un altro essere dentro di lei. Inizia un processo di personificazione del feto come individuo distinto e a sé stante. Aumenta l’investimento affettivo e nasce la possibilità di una relazione tra bambino e genitori, che cominciano a conversare con lui, lo accarezzano, lo abbracciano. Nascono fantasie circa l’aspetto del feto.
Entrambi i genitori immaginano il futuro bambino, sia fisicamente che caratterialmente, coltivando piccole aspettative che saranno basate sulle fantasie che si generano a partire dalla propria esperienza personale e familiare, ma anche in relazione al contesto sociale e culturale di appartenenza. 
Tutti questi pensieri che cominciano a prendere forma nella mente sia della donna che dell’uomo sono del tutto normali e comprensibili. Fanno parte del processo di accoglimento del bambino in arrivo, della costruzione dell’identità genitoriale e rispecchiano l’amore che è già nato verso il piccolo ancora in grembo.

Bambino immaginato e bambino reale 
L'ultima fase della gravidanza vede ancora momenti altalenanti. Il tempo del parto si avvicina e così anche l'idea di poter conoscere veramente il proprio figlio. Durante la gravidanza la mente dei genitori ha costruito dentro di sé un "bambino immaginario", frutto delle fantasie maturate nel corso dei mesi. Con la nascita del bambino, i genitori incontreranno invece il loro "bambino reale", che nella maggior parte dei casi sarà diverso da quello che avevano immaginato o sperato. Questa fase può creare alcuni sconvolgimenti, che necessitano di un tempo di elaborazione psicologica tanto superiore, quanto maggiore sarà lo scostamento rispetto a quello che ci si era aspettati (si pensi alla speranza di avere un figlio sano e veder nascere un bambino con alcune difficoltà o patologie).

…E I PAPÀ? 
Creare un legame con il proprio bambino porterà il padre a crearsi nella mente un’immagine del bambino immaginario legato anche ai racconti e alle emozioni che la compagna sente portando il bambino in grembo.
Il papà non ha nel proprio corpo il bambino che lo aiuta a percepire una vita altra, sin dall’inizio, così come per la mamma. Tuttavia anche lui conduce una gravidanza mentale nel senso che la sua mente è “gravida” di pensieri ed emozioni mai provati e nei quali è difficile fare ordine. Si rimette in gioco il proprio concetto di sé.  
Ritagliarsi ogni giorno un po’ di tempo per cominciare un “dialogo” a tre è una buona abitudine per quando il bambino farà realmente parte della triade familiare.



IL PARTO

Il parto, così come la gravidanza, è un momento di grande impatto psicologico. Il parto implica la separazione tra la mamma e il bambino e fa emergere rappresentazioni culturali e sociali, fattori familiari ed emotivi. In alcune donne può essere vissuto come una liberazione, in altre come una perdita. A questo evento la donna, il bambino e la coppia si preparano per tutti i 9 mesi di gestazione. Da un punto di vista psicologico durante il parto può essere presente il conflitto tra l’impulso ad espellere il bambino e la tendenza a trattenerlo.

La paura del parto
Si stima che nei Paesi Occidentali, la paura del parto sia riferita dal 20% delle donne gravide. La paura del parto può presentarsi in tutti i nove mesi di gestazione ed essere sperimentata durante il parto stesso. È anche associata alla paura di morire. 
Esiste un’ampia gamma di normali paure legate al parto. Partiamo dicendo che è normale avere paura del parto. Il parto deve essere un momento che fa quasi paura ad un livello proprio ancestrale. La paura del parto è una paura fisiologica. Tuttavia se la paura diventa fonte di ansia intensa, di evitamento o di non desiderio di avere un figlio, è giusto parlarne con degli specialisti. L’esperienza del parto è soggettiva e le emozioni sono varie. Ogni donna vive emozioni che, per quanto siano comuni, si rifanno ad un vissuto personale. 
 

  • Paura del dolore: il dolore è sicuramente l’ingrediente meno gradevole e meno accettato del parto. Il dolore, in ogni sua forma, suscita in noi paura, soprattutto perché ci fa percepire di subire passivamente una situazione. La paura del dolore spesso corrisponde infatti alla paura dell’ignoto. Tuttavia, la donna ha a disposizione una risorsa importante che è la capacità di seguire il proprio dolore, accompagnarlo in modo attivo attingendo a tutte le risorse possibili che sentirà di avere in quel momento. Questo le permetterà di “guardarlo in faccia” e di accettarlo, non solo come spettatrice ma come protagonista attiva al centro della scena. Seguendo il linguaggio del corpo imparerà che anche il dolore può essere una risorsa importante. Non soltanto mette in moto e fa funzionare il travaglio, proteggendola da possibili danni e proteggendo il bambino dal dolore stesso, ma le regala anche una felicità altrimenti impossibile alla nascita del bambino, che è la base per il legame biologico.
     
  • Paura di perdere il controllo: l’idea di poter avere delle reazioni impreviste, a livello non solo fisico ma anche emotivo, è spesso presente nelle donne che si avvicinano al parto. Per quanto sia un evento medicalizzato, e quindi si abbia la percezione di avere tutto sotto controllo, la gravidanza non è un evento razionale. Durante il parto infatti, l’area del cervello collegate al pensiero razionale, viene messa a riposo ed entrano in circolo gli ormoni che favoriscono il buon espletamento del parto. La perdita di controllo quindi non deve essere vista come un qualcosa di negativo, bensì come un segnale che tutto sta andando bene. Il parto è proprio un momento in cui si è  chiamati ad abbandonare ogni forma di controllo razionale, per entrare in una nuova dimensione, data soprattutto dal sentire. È importante dunque che la mamma segua le proprie sensazioni fisiche istintive. 
     
  • Paura di non riconoscere le spinte: anche in questo caso, è importante che la donna assecondi le sue sensazioni, segua i segnali del corpo e i ritmi della sua nascita. Quando il bambino è pronto per nascere, eserciterà una forte pressione e lei sentirà il bisogno di spingere. L’abbandono, l’apertura, il respiro, il sostegno, il dialogo con il bambino sono la sua forza. Le permettono di seguire la direzione di “attacco” dettata dal corpo, che permetterà di scaricare la tensione del parto nell’espulsione del bambino.
     
  • Paura di essere incapaci di dare la vita: alcune donne hanno paura che il proprio corpo non sia in grado di partorire. È un vissuto frequente nella donna, che coinvolge sia un senso di incapacità fisica che di incapacità psicologica. Fortemente connessa a questa paura vi è la paura di fare qualcosa di sbagliato e di nuocere al feto, come conseguenza di un comportamento inappropriato messo in atto durante il travaglio.
     
  • Paure legate al bambino: le paure legate alla salute del bambino sono tra le più comuni e ancestrali, nonché tra le prime a manifestarsi. Tra le più frequenti, la paura che il bambino nasca morto, deforme o con “qualcosa che non va”. Del resto, la priorità per la futura mamma fin dall’inizio della gravidanza, è quella di dare alla luce un bambino sano. È importante concedersi di accettare questa paura cercando di interpretarla per quello che è: un ottimo sistema per proteggere il proprio bambino. Ciò permette di capire che il più delle volte si tratta di paure momentanee e strettamente legate a situazioni che si sta vivendo, ma cambieranno presto fino a svanire del tutto. 
     
  • Paura degli imprevisti: gli imprevisti fanno parte della vita e non dobbiamo farci bloccare da essi. Non si possono prevedere ed è probabile che non si verifichino. Per arginare la paura degli imprevisti, è necessario scegliere un medico al quale affidarsi pienamente. 
     
  • Paura del parto cesareo: il pensiero di doversi sottoporre ad un intervento chirurgico, può generare una certa ansia in alcune donne. Si tratta di una paura più che comprensibile, soprattutto per chi non si è mai sottoposto ad interventi simili. Tuttavia, è importante pensare che il parto cesareo viene indicato qualora il medico individuasse delle condizioni che impediscano il buon esito di un parto naturale e quindi la protezione della salute della mamma e del bambino. Anche in questo caso, informarsi sugli aspetti che più ci preoccupano, confrontandosi con il proprio medico di fiducia, permette di visualizzare attivamente a cosa si andrà incontro, affrontando più serenamente e in modo più fiducioso i propri timori.


Parto naturale e parto cesareo
Da un punto di vista emotivo, il parto naturale rappresenta la possibilità per la mamma di partecipare attivamente al momento della nascita del proprio figlio interagendo con lui fin da subito e quindi godendo pienamente di questa nuova relazione. Il parto spontaneo consente inoltre al neonato di effetture un passaggio graduale da un luogo caldo e accogliente ad uno completamente diverso, caratterizzato da luci e rumori forti. 
Tutto ciò non accade quando viene effettuato il parto cesareo, nel quale spesso la donna accusa dolori e disagi fisici che, almeno in un primo momento, limitano la sua capacità di avere scambi con il bambino, con conseguente senso di frustrazione per entrambi. Anche per il bambino il parto cesareo provoca un cambiamento brusco, catapultandolo dal grembo materno al mondo esterno senza l’accompagnamento delle spinte materne.  


Parto come separazione
Dopo essersi separati, la mamma e il bambino si ritroveranno in una nuova simbiosi che si ricostruisce nel dopo parto, ancora guidati e facilitati dal fiume ormonale che si mantiene alto per alcune ore. L’espulsione della placenta e il successivo taglio del cordone, chiudono la loro simbiosi intrauterina, dopo avere aperto quella extrauterina. 
La necessità di separarsi dal bambino, da un bambino che è contemporaneamente altro e parte integrante di sè, non è un processo facile o indolore. È la separazine di una parte di sè. Separarsi significa interrompere la simbiosi, l’intimità creata. Significa affrontare l’incognita del bambino reale e dei cambiamenti che porterà nella propria vita. Questo processo di separazione necessita di un tempo, che è individuale ed esclusivo. È importante che si consumi tutto per completare il processo di separazione. Esso sarà presente ancora nella vita con il bambino, e questa prima separazione fa da matrice per quelle successive. 
Le separazioni sono momenti di crescita, di evoluzione, ma necessitano ciclicamente della simbiosi per poter disporre delle risorse necessarie. Quindi il ritmo tra unione e separazione, avviatosi con la gravidanza e con il parto, troverà una sua continuità nel corso della crescita e della vita che gioca tra individuazione (distacco) e simbiosi (fusione).

…E I PAPÀ? 

In sala parto, è importante la presenza del padre (o una persona di fiducia), per la vicinanza, il sostegno morale e fisico. Per i papà la nascita del proprio bambino sarà un crescendo di emozioni. A volte, quando iniziano le contrazioni, il futuro papà può essere preso da uno stato di grande agitazione. 
Papà…devi essere preparato al fatto che vedrai la tua compagna in circostanze uniche. 
Tu sei la persona giusta per ricordarle cosa la rilassa nei momenti di stress e tu, che la conosci intimamente, sai più di chiunque altro interpretare i suoi bisogni anche se inespressi. 
Il tuo ruolo è quello di trasmettere calma e fiducia. La donna ha bisogno di essere sostenuta da te nei suoi desideri e nelle sue esigenze. È possibile che in sala parto le esigenze e i desideri cambino a seconda della situazione. Quindi devi essere sempre pronto ad assecondare il flusso degli eventi. Dovrai anche essere pronto ad accettare improvvisi malumori e frustrazione. In questo momento la donna ha bisogno di concentrarsi su se stessa e su ciò che sta vivendo. Riduci al minimo la comunicazione verbale e gli stimoli sensoriali (rumori, luci, voci…). Sii pronto ad aspettare, abbi pazienza, cerca di trascorrere questo momento nel modo più sereno possibile, osservando con tranquillità ciò che accade senza interferire con il travaglio. 
Osserva attentamente la donna, cerca se puoi di anticipare i suoi bisogni (es. se si bagna le labbra con la lingua, avvicinale un bicchiere, se sente caldo asciugale il sudore o tamponale il viso, se sente freddo coprila con una coperta). Sostienila nella respirazione e nel rilassamento, fondamentale soprattutto nella pausa tra le contrazioni. Invitala a cambiare posizione, a muoversi, accompagnala quando cammina. Cerca di incoraggiarla e sostenerla fino alla fine del travaglio, soprattutto nei momenti di sconforto in cui lei crederà di non farcela più. È un momento unico anche per te, esprimi come meglio credi tutte le tue emozioni.

PAURE DEI FUTURI PAPÀ

I padri hanno spesso paure relative al parto, con vissuti di impotenza. In loro si presenta la paura nei confronti del dolore che vivrà la propria compagna o di possibili danni che possono presentarsi nel bambino. È possibile offrire a questi papà l’opportunità di verbalizzare e condividere i propri sentimenti e le proprie paure con operatori preparati e qualificati. 


 

IL POST-PARTO
 

Il post-parto in ospedale
Nei momenti successivi al parto, la mamma può avvalersi della presenza delle ostetriche e delle puericultrici per trovare risposte alle innumerevoli domande che sorgeranno spontanee. I pochi giorni trascorsi in ospedale, potranno diventare una preziosa opportunità per la neomamma per apprendere la modalità con cui costruire la relazione con il proprio bambino. Come neomamme svilupperete gradualmente uno stile personale nel modo di stare con il vostro bambino. Tuttavia prima dovrete legittimarvi una fase in cui potrete percepire voi stesse come inadeguate. Le competenze genitoriali, infatti, sono da costruire step-by-step e non fanno parte delle competenze innate di una donna. 

La diade madre-bambino: il legame di attaccamento
L’attaccamento ricopre un ruolo centrale nelle relazioni degli esseri umani dalla nascita alla morte. Lo sviluppo armonioso della personalità dipende da un adeguato attaccamento alla figura materna. E’ importante che la madre fornisca al bambino la cosiddetta “base sicura” ovvero quella atmosfera di sicurezza da cui il bambino si può allontanare per poi tornare da lei al momento del bisogno. Elementi fondamentali dell’attaccamento sono l’empatia e la sintonizzazione affettiva. La mamma inizia a percepire lo stato emotivo del bambino e ne riconosce i bisogni tanto poi da creare una sorta di armonia, di accordo emozionale andando a creare una diade per favorire una fluida comunicazione delle percezioni.  
Il contatto pelle a pelle che la madre stabilisce con il neonato, fa sì che si instauri una relazione affettiva sicura e amorevole. Il contatto fisico tra madre e figlio nelle prime ore dopo il parto è infatti fondamentale nel regolare il tono affettivo, diminuire i livelli di stress e creare le condizioni necessarie allo sviluppo di un legame di attaccamento.
Tenere in braccio il bambino, toccarlo, accarezzarlo, cullarlo, sono le prime espressioni di questo nuovo legame, che si esprime con il passare dei giorni attraverso interazioni sempre più strutturate e animate. L’importanza di questo legame non sta tanto nell’assolvere a funzioni pratiche di accudimento, quali per esempio l’allattamento, quanto nell’instaurazione di una comunicazione, di un dialogo intimo tra mamma e bambino: un dialogo fatto di sguardi, di contatto fisico, di odori, di suoni e parole che la mamma rivolge al suo piccolo, anche se lui non ne comprende il significato. Il contatto fisico riveste per lo sviluppo di ogni essere umano un ruolo centrale in quanto veicolo diretto e immediato della relazione con un altro significativo, nonché importante elemento ai fini dello sviluppo di un attaccamento sicuro. La pelle è un organo fondamentale di relazione in quanto è il canale principale che permette di sentire profondamente la presenza dell’altro, ma allo stesso tempo proteggendoci e permettendoci di delimitare i confini affinando la sensazione di noi stessi come distinti dall’altro. È attraverso il tatto e il tocco affettivo che il bambino impara ad essere (auto-regolarsi) ed essere in relazione (eco-regolarsi). Il contatto genera una situazione di profonda intimità ed è da quell’intimità che il bambino distingue il suo corpo, lo sente, ne sente i limiti, integra le informazioni e si percepisce, presente, nell’essere vicino (ma non fuso) all’altro.

L’allattamento

L’allattamento è il processo fondamentale nella costruzione del legame di attaccamento. È la forma più precoce di interazione tra mamma e bambino.
Mentre durante la gravidanza il centro di gravità emotivo della mamma rimane concentrato sul ventre, quando il bambino comincia a succhiare, il centro si sposta verso l’alto. Il seno rappresenta un porto sicuro per il piccolo, luogo d’elezione non solo per il nutrimento, ma anche per l’amore e la protezione. L’allattamento al seno è indubbiamente un facilitatore delle interazioni poichè attiva più canali comunicativi: tattili, propriocettivi, gustativi, olfattivi (l’odore della pelle della mamma), termici (il calore del corpo materno), vestibolari (dondolio), motori, viscerali e visivi che consentono una plurima stimolazione tattile e percettiva del neonato. 

Come afferma la Prof.ssa Loredana Cena in “Allattamento al seno: nutrimento per il corpo e per la mente” (Psicologia Clinica e Ricerca), “L’allattamento materno, rappresenta una modalità nutritiva, ma anche una modalità comunicativa e di relazione con il proprio bambino perché favorisce il contatto fisico pelle a pelle, il contatto olfattivo e visivo tra lo sguardo della mamma e quello del bambino […]. L’allattamento al seno favorisce un importante scambio di sensazioni fisiche e psichiche che determina la nascita di un dialogo intimo tra la mamma e il suo piccolo; per succhiare il seno, oltre alla bocca anche la guancia, il naso, il mento e le manine del bambino sono a stretto contatto con la pelle della mamma. Durante le pause della suzione il bambino stacca la bocca dal seno e rivolge il proprio sguardo alla madre che lo corrisponde e commenta con parole affettuose quanto sta accadendo tra loro. Il bimbo elabora le risposte costituite da questi sguardi, contatti, parole che per ora sono soltanto suoni per lui privi di un significato ma con importanti connotazioni affettivo-emotive, e apprende cosa sta succedendo tra lui e la madre. Il contenuto di questa comunicazione non verbale, corporea non è traducibile in parole ma è evidente che ciò che viene scambiato costituisce un apprendimento di significati, che nella memoria implicita caratterizzano la qualità della relazione. È la capacità della madre di entrare in relazione con il piccolo, di capire e dare significato alle sue comunicazioni che configura la qualità della relazione entro la quale si strutturerà lo stile di attaccamento del bambino. […]Tutta questa mobilitazione si traduce in una comunicazione che sta all’origine della costruzione della mente neonatale.”
Inoltre, durante l’allattamento il corpo della mamma produce ormoni, quali l’ossitocina, che favoriscono il rilassamento e facilitano la creazione di un legame emotivo-affettivo duraturo (“bonding”) e  l’adattamento della madre al proprio ruolo materno di accudimento. 

Cosa accade se la mamma non allatta al seno? Anche in merito a questo, la Prof.ssa Loredana Cena afferma quanto segue: “Può succedere che, nonostante il forte desiderio di allattare, l’impegno e la forte volontà, qualche mamma incontri delle difficoltà, sia all’inizio che  durante il periodo dell’allattamento […]. L’allattamento artificiale consente esperienze sensoriali ed emotive diverse sia per la mamma, sia per il bimbo, ma molto dipende dalla struttura della mamma e dalla situazione. Nell’allattamento artificiale è ridotto il contatto pelle a pelle, le modalità e i ritmi nello scambio degli sguardi sono diversi, ma questo non è indice di una comunicazione scadente. Può anche accadere che una mamma che allatta artificialmente sia più attenta e responsiva ai messaggi che le arrivano dal suo bambino e pronta a rispondervi; le madri che allattano al seno possono anche non essere sintonizzate con il loro bambino o trasmettere messaggi negativi […] Nell’allattamento artificiale è  possibile un dialogo di sguardi e di posture: ad esempio il modo in cui un genitore tiene in braccio, contiene il suo bimbo […] può offrire al lattante una condizone comunicativa globalmente efficace […] Ciò che conta è il grado di sitonizzazione, cioè quella capacità della madre di inviare messaggi nei modi e nei tempi adeguati alle necessità affettive e capacità di recezione del bambino.”  (“Allattamento al seno: nutrimento per il corpo e per la mente” – Psicologia clinica e ricerca).

La triade 

L’arrivo di un bambino comporta la costruzione di un nuovo nucleo familiare che andrà a modificare via via i precedenti equilibri, ruoli, bisogni per poi allinearsi in un nuovo equilibrio familiare.

La coppia genitoriale 
Con l’arrivo del bambino si viene a delineare un nuovo sottosistema, quello genitoriale, che comprende la mamma, il papà e il bambino. Le funzioni della coppia genitoriale sono quelle di nutrizione, guida, controllo e educazione, a seconda del periodo di crescita e dei bisogni di cura del bambino. All’interno del sottosistema genitoriale, la mamma e il papà hanno funzioni diverse ma complementari e indispensabili. Mentre la mamma, immersa in un rapporto ancora simbiotico con il proprio bambino vive una “fisiologica regressione” che le permette di empatizzare con il neonato e sintonizzarsi con lui, il papà svolge funzioni determinanti nel mantenere l’equilibrio triadico, quali:

  • Tolleranza della fusionalità delle diade madre-bambino, durante i primissimi periodi di vita del bambino;
  • Tolleranza della scissione della donna tra coniugalità e genitorialità;
  • Contenimento dei momenti regressivi materni, fornendo alla donna un ancoraggio al piano di realtà. Il papà, impegnato ad adattarsi alle trasformazioni al femminile che ha accanto, pur contattando le proprio parti regressive, può concedersi di ascoltarle meno rispetto alla mamma, la quale le sta contattando maggiormente. 
  • Funzione mitigatrice e trasformativa delle angosce materne

È importante che il papà non resti un semplice osservatore della relazione mamma-bambino, ma partecipe.

La coppia coniugale 
Il sottosistema coniugale, invece, per definizione esclude dal proprio funzionamento specifico il bambino. La coppia coniugale, infatti, esiste prima dell’arrivo del bambino e, benchè possa subire delle inevitabili trasformazioni, è importante che continui ad esistere anche dopo la sua nascita. Possiede dei propri confini che proteggono la coppia da interferenze esterne e ha compiti specifici che sono vitali per il funzionamento della famiglia, quali la complementarietà, il sostegno e il reciproco accomodamento. 
È normale che l’arrivo del bambino sia un momento di grandissime trasformazioni per la coppia, che richiede una fase di assestamento. Potranno diminuire gli spazi di intimità e ci potrà essere meno tempo da trascorrere insieme. Tuttavia, è importante che la coppia si legittimi del tempo affinchè ci si possa ritrovare nuovamente come partner e non solo nel nuovo ruolo di neo-genitori. 


 

DISTURBI AFFETTIVI DEL PUERPERIO: MATERNITY BLUES E DEPRESSIONE POST-PARTO

Come accennato in precedenza, durante la gravidanza una madre fisiologicamente entra in uno stato mentale di “preoccupazione materna primaria” che comporta un aumento della sensibilità nei confronti del suo bambino che sta crescendo e un’intensa identificazione con lui. Con la nascita del bambino la madre sviluppa una nuova organizzazione mentale che è stata definita “costellazione materna”. L’organizzazione psichica che emerge può essere permanente o transitoria. La madre riorganizza la propria identità ponendo in primo piano il suo bambino e poi se stessa. Il puerperio è un periodo durante il quale aumenta la vulnerabilità alla depressione. 
I primi giorni che seguono la nascita di un figlio sono per le donne un periodo ricco di sollecitazioni ormonali, psicologiche, affettive, familiari e sociali. Un certo grado di labilità emotiva va messa in conto in questa fase della vita della donna, ma è necessario poter distinguere le difficoltà normali da quelle sufficientemente problematiche che meritano l’attenzione e l’intervento di un professionista. 

Gran parte delle neomamme risponde adeguatamente a questi cambiamenti e vive positivamente l’esperienza dell’immediato dopo parto; alcune donne riportano invece, in termini non patologici e transitori importanti sollecitazioni del tono dell’umore, crisi di pianto, senso di inadeguatezza e labilità emotiva. Quest’ultima condizione, denominata Maternity Blues, che è una condizione non patologica e si colloca solitamente all’interno dei primi 10-15 giorni dopo il parto e tende a risolversi spontaneamente. Non è necessario un trattamento psicologico ma è necessario un adeguato supporto familiare, una adeguata rete sociale e soprattutto una accettazione della propria vulnerabilità.

In alcuni casi le difficoltà e il senso di inadeguatezza persistono, deviando da un’evoluzione fisiologica e trasformandosi in un vero e proprio disturbo, denominato Depressione Post-parto. Questo disturbo si presenta con tristezza persistente, frequenti crisi di pianto, labilità emotiva, scarsa concentrazione, problemi di memoria, sentimenti di autosvalutazione, inadeguatezza o colpa, irritabilità, perdita di interesse nella cura di sé, non sentirsi all’altezza delle mansioni quotidiane da svolgere, perdita di energia, ansia, pensieri bizzarri e preoccupazioni eccessive, pensieri ossessivi riguardo la possibilità di fare del male al bambino, sentimenti di sopraffazione e perdita di piacere nelle attività che prima erano piacevoli. La madre si lega poco al bambino e mostra scarso interesse per lui. Sono presenti inoltre pensieri di morte o suicidari. Altri sintomi sono: agitazione o rallentamento psicomotorio, insonnia o ipersonnia, diminuzione o aumento dell’appetito, sintomi somatici. Può insorgere in tutto il primo anno di vita.

La Depressione Post-Parto porta allo svilupparsi di una modalità di attaccamento insicura e un aumento di problemi emotivi nei bambini. 
Nella Depressione Post-Parto è fondamentale un intervento precoce di trattamento psicoterapico e se necessario un trattamento farmacologico.

 

Se hai bisogno di aiuto, puoi rivolgerti al Consultorio C.I.D.A.F. di Poliambulanza, nelle sedi di: 
- Brescia (Via Sorelle Ambrosetti, 10); Tel: 030 3518731 
- Travagliato (Via Brescia, 42B); Tel: 030 3518662